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Letto da noi

NATI DUE VOLTE

Il narratore, il professor Frigerio, commenta e ricostruisce gli anni dalla nascita all’adolescenza del figlio disabile, Paolo, e gradualmente prende coscienza dei limiti propri ed altrui nell’affrontare la disabilità e le sue conseguenze, osserva la diffusa difficoltà mentale, culturale, emotiva di chi si trovi a dover affrontare la disabilità fisica non propria, ma di una persona cara o comunque vicina. Da ciò Frigerio prende atto della stupidità umana, quella di chi gli sta intorno (e dovrebbe, per effetto di un ruolo istituzionale o di competenza avere la capacità di gestire la situazione) e soprattutto della propria. Ma, in quest’ultimo caso, l’urgenza del problema e l’angoscia per una soluzione che appare sempre più impossibile, si traduce a poco a poco in una crescita di consapevolezza, un processo di conoscenza in cui è il padre ad imparare dal figlio la dignità, il rispetto di sé, l’autoironia. Un discorso a parte merita la figura femminile principale: Franca, moglie di Frigerio e madre di Paolo. Il libro è infatti anche la storia di un matrimonio, di un rapporto non solo genitoriale padre-madre-figlio, ma anche personale e sentimentale uomo-donna, marito-moglie. E Frigerio, che pure ha una relazione con un’altra donna cui non sa rinunciare, riconosce alla moglie qualità e pregi, generosità e forza che a lui invece non appartengono.

Un racconto realistico, onesto, umanamente credibile nella ricostruzione dei fatti e del percorso di vita, impietoso nell’analisi psicologica  propria e dei propri interlocutori, criticamente libero da inibizioni e conformismi. Insomma, tanto schietto da risultare talvolta persino imbarazzante.

 

Intervistato a proposito dell’autobiografismo del libro “Nati due volte”, l’autore ha detto:

“Il problema dell’handicap lo vivo in maniera diretta da 31 anni, da quando è nato mio figlio, ma avevo sempre escluso di farne un racconto autobiografico perché non ho interesse per la mia autobiografia: penso che l’autobiografia, almeno nel mio caso, mi renderebbe schiavo, mentre il romanzo mi rende libero. I vincoli del patto autobiografico per me sono opprimenti, rispettare la letteralità dei fatti, quando oltretutto non so mai bene come sono avvenuti, è una cosa che mi allontana. […] E’ vero che il narratore è la voce alla quale io sono più vicino e con la quale io di fatto mi identifico, sono presente in questo narratore ma non come io autobiografico, bensì come io ideale, come io in cui mi riconosco. Le cose che lui dice sono cose che io condivido, quasi sempre. Io ho attinto moltissimo dall’esperienza vissuta, ma questo avviene seppure in modo meno intenso anche nelle altre opere narrative.”

 

Incipit:

“La scala mobile sale al terzo piano tra scale che discendono, gradini che spariscono in alto tra le luci, pavimenti che si allontanano ai due lati, la folla che circola lentamente nel brusio.

«Ti piace?» gli chiedo in un orecchio, alle spalle.

«Sì» risponde senza voltarsi.

Aggrappato con la sinistra al corrimano di gomma, si lascia cadere indietro, sentendo che ho le braccia aperte.

Sto curvo in avanti per sorreggerlo. Quando arriviamo in cima e i gradini di ferro scompaiono nella feritoia, si arrovescia con le spalle.

«Non avere paura!» gli dico, sollevandolo a fatica perché non inciampi.

Si posa, con le gambe rigide, i piedi tesi, sulla moquette oltre la piastra metallica. Riesce a non cadere. Cammina. Mi guardo intorno, asciugandomi la fronte con il palmo della destra. Una signora ci guarda accigliata vicino a un ombrellone giallo, piantato in un rettangolo di sabbia che simula una spiaggia. Anch'io la guardo, sono stanco delle persone che ci guardano. Ma ecco che lancia un grido, portandosi la mano alla bocca, mentre si sente un tonfo pesante. Paolo è caduto su un fianco e ora, troppo tardi, si volta sul dorso, come gli è stato insegnato. Ha il viso contratto dal dolore, le palme inutilmente aperte sul pavimento.

«Ti sei fatto male?» gli sussurro, piegandomi su di lui.

Mi fa segno di no.”

 

Dal libro è stato liberamente tratto, per la regia di Gianni Amelio, il film “Le chiavi di casa”, candidato al Premio Oscar 2004-2005.

Ancora 1

GIUSEPPE PONTIGGIA (Como, 25 settembre 1934 – Milano, 27 giugno 2003 )

Giuseppe Pontiggia è stato uno scrittore, aforista e critico letterario italiano. Il suo primo romanzo, autobiografico, “La morte in banca”, è frutto d'una profonda insoddisfazione per la sua esperienza lavorativa (in un istituto bancario) e per un mondo che considera frustrante. Nel 1961 lascia l'impiego in banca, si dedica all'insegnamento e diventa consulente di alcune case editrici: Adelphi e la Arnoldo Mondadori Editore, per la quale cura anche l'Almanacco dello Specchio. Intanto amplia la sua attività di saggista e di critico, occupandosi di autori classici. Negli anni Ottanta comincia a tenere corsi di scrittura al Teatro Verdi e presso università e altre sedi, incentrati sui vari modi, problemi e aspetti dello scrivere e sullo studio del linguaggio della prosa.  

 

Romanzi e racconti:

  • La morte in banca

  • L'arte della fuga

  • Il giocatore invisibile

  • Il raggio d'ombra

  • La grande sera (Premio Strega)

  • Vite di uomini non illustri (Premio Super Flaiano)

  • Nati due volte (Premio Campiello; Premio Società dei Lettori)

  • Prima persona

  • Il residence delle ombre cinesi

  • Opere

     

 

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