Letto da noi
OBLOMOV
“Oblòmov” (1859) fece entrare Gončarov a pieno diritto nel ristretto numero dei classici nazionali. Considerato come una delle opere più significative e perfette della narrativa russa ottocentesca, il romanzo non ebbe, nonostante il suo immenso successo, una significativa influenza diretta sui contemporanei russi, non determinò nuove linee di gusto né un rinnovamento stilistico. La sua irripetibilità, la sua non esemplarità si spiegano, così come la sua straordinaria e inflessibile suggestione, nella sua mirabile valenza simbolica più che nella sua dimensione realistica.
Gončarov disegna con la precisione e la cura di un miniaturista la figura complessa e infinitamente sfaccettata di Oblòmov, tanto che è quasi impossibile definirlo in modo univoco: è certamente un perdente, un vinto, soprattutto un non-fatto incatenato com’è all’inazione, a una sorta di paralisi fisica e spirituale, ma è anche un buono dall’anima per certi versi pura. E Gončarov popola il suo mondo, che altrimenti sarebbe chiuso e spoglio, di personaggi vivi, dotati di una loro ben precisa personalità che si oppone a quella di Oblòmov, tratteggiando debolezze e vizi di ciascuno, facendone, non senza umorismo, archetipi tanto dell’uomo russo quanto dell’uomo in generale.
“Oblòmov” è l’emblema di una certa propensione tragica e affascinante dello spirito russo alla contemplazione che ha remote radici nel fatalismo orientale, ma avendo come protagonista un tipico esponente della piccola nobiltà russa, il romanzo, letto in chiave strettamente realistica, può essere interpretato anche come un atto di accusa sociale. Per questo personaggio, è stato coniato il termine "oblomovismo", (usato per la prima volta dal critico Dobroljubov) passato appunto a indicare un temperamento incline alla passività e alla rassegnazione di fronte all'aggressività e all'inesplicabilità del reale.
Ha scritto Giorgio Manganelli in merito a “Oblòmov”: “O lo conoscete e vi ha sedotto, e una recensione non può dirvi nulla, o non lo conoscete, e allora, per favore non perdete altro tempo con queste fatue righe, e andate a leggerlo”.
Incipit:
“Una mattina, in uno dei grandi edifici della via Gorochovaja, i cui abitanti avrebbero popolato un'intera cittadina distrettuale, stava disteso a letto, nel proprio appartamento, Il'jà Il'ìc Oblòmov.
Era un uomo di trentadue-trentatré anni, di statura media, di bell'aspetto, dagli occhi grigio scuri, ma dai tratti del suo volto non traspariva alcuna idea determinata, né un qualche cenno di concentrazione. Il pensiero vagava libero come l'aria sul volto, sfarfalleggiava negli occhi, indugiava sulle labbra semiaperte, si nascondeva tra le rughe della fronte, per poi sparire completamente, cosicché la luce uniforme dell'indolenza appariva sul volto. Dal volto l'indolenza si trasmetteva alle pose di tutto il corpo, perfino alle pieghe della veste da camera.”
IVAN ALEXANDROVIC GONCAROV (Simbirsk, 18 giugno 1812 – San Pietroburgo, 27 settembre 1891)
Gončarov è un autore classico della letteratura russa.
Figlio di un ricco mercante, ebbe un'infanzia agiata, frequentò la facoltà di lettere di Mosca, quindi si trasferì a Pietroburgo, dove cominciò la sua lunga carriera nella burocrazia statale, dapprima come funzionario ministeriale, poi come censore. Nel 1862 e 1863 occupò il posto di redattore capo del giornale governativo Severnaja Počta. Conservatore moderato, scapolo irriducibile, condusse un’esistenza tranquilla, monotona, interrotta solo una volta da un «eroico» viaggio per mare in Estremo Oriente, descritto poi in “La fregata Pallada” (1855-57).
Tutta l'opera di Gončarov, prescindendo da scritti minori, si condensa nei tre romanzi in cui ritrasse realisticamente gli aspetti della vita russa che egli aveva direttamente conosciuti e vissuti. In "Una storia comune" (1847) il protagonista Aduev, passato dalla provincia natia a Pietroburgo, abbandona via-via tutte le aspirazioni idealistiche, letterarie e sentimentali, per adagiarsi nel placido alveo della vita "comune", rappresentata dalla carriera burocratica e da un matrimonio d'interesse. Meno comune, ma più profondamente radicata nella vita russa dei tempi, è la storia di “Oblòmov” (1859), in cui l’omonimo protagonista è un proprietario campagnolo che niente e nessuno riesce a scuotere dalla sua apatica indolenza. Ne "Il burrone" (1869) cerca di cogliere e dar rilievo anche alle qualità più positive della nuova generazione, ma vi riesce solo in parte, sicché, rasentando una tendenziosità artificiosa, il romanzo, che pur continua i grandi pregi stilistici degli altri due, ne risulta inferiore.
Opere:
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Una storia comune (1847)
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Oblòmov (1859)
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Il burrone (1869)