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Letto da noi

Ancora 1
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RESTO QUI

L’Alto Adige fece parte dell’Impero Austroungarico fino al termine della Prima Guerra Mondiale, quando i trattati di pace assegnarono l’intera regione all’Italia e gli abitanti di quel territorio, improvvisamente, si trovarono a essere cittadini italiani, pur essendo prevalentemente di lingua e di cultura tedesca. In seguito alla presa di potere del fascismo, Benito Mussolini impose una radicale “italianizzazione” di quelle come di altre zone di confine impendendo l’utilizzo della lingua tedesca e proibendone l’insegnamento nelle scuole, mutando la toponomastica dei luoghi e collocando personale amministrativo di lingua italiana.

La vicenda narrata da Balzano in “Resto qui” ha inizio nel 1921 a Curon, piccolo borgo della Val Venosta in cui la vita per secoli era trascorsa quasi immutabile, scandita dall’avvicendarsi delle stagioni e dei lavori tradizionali alpini: la cura del bestiame, la fienagione, la legna da raccogliere e da accumulare in vista dell’inverno. La storia è affidata alla voce di Trina, una giovane del paese che, per via delle regole imposte dal fascismo, è esclusa dalle nomine per l’insegnamento nonostante sia una delle poche che oltre ad aver ottenuto la licenza magistrale abbia studiato anche l’italiano. Decide allora, rischiando il confino, di farlo di nascosto nelle katakombenschulen, le scuole clandestine in lingua tedesca tenute in locali di fortuna. È una ragazza svagata ma tenace, che nutre i sogni tipici della gioventù e li condivide con le sue due amiche del cuore, una delle quali verrà malauguratamente scoperta e allontanata forzatamente dal paese. Trina s’innamora e si sposa con Erich, suo compaesano, il cui orizzonte è tutto compreso dentro le sue montagne e con il quale ha due figli, Michael e Marica. A minare ulteriormente la serenità di Curon e dei suoi abitanti arriva la decisione del governo fascista di riprendere un progetto della Montecatini (proposto anni addietro e interrotto a causa della Prima Guerra Mondiale) inerente la costruzione di un’imponente diga il cui invaso verrebbe realizzato con l’allagamento della valle. Contemporaneamente, grazie all’intesa con Mussolini, nel '31 Hitler dà ai sudtirolesi la possibilità la possibilità di espatriare, unendosi al Reich. Questa proposta genera una spaccatura nella popolazione tra gli “optanti”, che scelgono di emigrare in Germania, e i “restanti”. Questi ultimi vengono accusati dai primi di connivenza con il regime, nonostante vogliano rimanere per amore della propria terra, per non abbandonare le proprie montagne, e non certo per fedeltà allo Stato italiano. Questa lacerazione si compie dolorosamente all’interno della famiglia di Trina, quando la  figlia Marica viene portata, di nascosto e senza permesso, dagli zii in Germania. Intanto, la guerra si ripresenta a bussare alla porta di casa: Erich viene chiamato alle armi e, quando torna in congedo per una ferita alla gamba, decide di disertare e fuggire con Trina sui monti, a pochi passi dal confine con la Svizzera. Insieme resistono duramente, riuscendo a sottrarsi alla cattura e alla morte. La fine della Seconda Guerra Mondiale riporta finalmente la pace, ma anche la ripresa dei lavori di realizzazione della diga, questa volta in maniera irrevocabile. Erich veste i panni del capopopolo: un Don Chisciotte di montagna che combatte insieme alla moglie in difesa del paese contro la spietatezza della multinazionale, contro l’indifferenza dello Stato e purtroppo anche contro l’apatia dei suoi concittadini.

 

Marco Balzano, ospite a «Fahrenheit», ha detto del romanzo: «Non credo nei colpi di fulmine. Credo che le cose vadano metabolizzate, ma qua è successa una cosa diversa. Questo campanile che spunta dallo specchio del lago mi è venuto incontro, mi è sembrato davvero una storia.»

 

La vicenda di Curon e della diga è stata anche argomento del documentario “Il paese sommerso”, di Georg Lembergh (2018).

 

Incipit:

“Non sai niente di me, eppure sai tanto perché sei mia figlia. L’odore della pelle, il calore del fiato, i nervi tesi, te li ho dati io. Dunque ti parlerò come a chi mi ha visto dentro. Saprei descriverti nei minimi particolari. Anzi, certe mattine che la neve è alta e la casa è avvolta da un silenzio che mozza il respiro mi vengono in mente nuovi dettagli. Qualche settimana fa mi sono ricordata di un piccolo neo che avevi sulla spalla e che quando ti facevo il bagno nella tinozza mi indicavi sempre. Ti ossessionava. O quel boccolo dietro l’orecchio, l’unico in quei capelli color miele. Le poche fotografie che conservo le tiro fuori con prudenza, col tempo si diventa di lacrima facile. E io odio piangere. Odio piangere perché è da idioti, e perché non mi consola. Mi fa solo sentire spossata, senza più voglia di mandare giù un boccone o di infilarmi la camicia da notte prima di andare a dormire. Invece bisogna curarsi, stringere i pugni anche quando la pelle delle mani si copre di macchie. Lottare a prescindere. Questo mi ha insegnato tuo padre.
In tutti questi anni mi sono sempre immaginata come una buona madre. Sicura, brillante, amichevole… aggettivi che non mi calzano proprio. In paese mi chiamano ancora signora maestra, ma mi salutano da lontano. Sanno che non sono un tipo affabile. A volte mi torna in mente il gioco che facevo fare ai bambini di prima elementare.

«Disegnate l’animale che vi assomiglia di più». Adesso disegnerei una tartaruga con la testa nel guscio. Mi piace pensare che non sarei stata una madre invadente. Non ti avrei chiesto, come ha sempre fatto la mia, chi era questo o quell’altro, se gli davi retta o se ti ci volevi fidanzare. Ma forse è un’altra delle storie che mi racconto e se ti avessi avuta qui ti avrei tempestata di domande, guardandoti di sghimbescio a ogni risposta evasiva. Più passano gli anni e meno ci si sente migliori dei genitori. Se faccio paragoni adesso, poi, sono in netto svantaggio. Tua nonna era spigolosa e severa, aveva le idee chiare su tutto, distingueva facilmente il bianco dal nero e non si faceva problemi a tagliare con l’accetta. Io invece mi sono persa in una scala di grigi. Secondo lei era colpa dello studio. Considerava chiunque fosse istruito una persona inutilmente difficile. Uno scioperato, un saccente, uno che sta a spaccare il capello in quattro. Io invece credevo che il sapere più grande, specie per una donna, fossero le parole. Fatti, storie, fantasie, ciò che contava era averne fame e tenersele strette per quando la vita si complicava o si faceva spoglia. Credevo che mi potessero salvare, le parole.”

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MARCO BALZANO  (Milano, 6 giugno 1978)

Marco Balzano è nato a Milano nel 1978, dove vive e lavora come insegnante di liceo. Ha esordito nel 2007 con la raccolta di poesie “Particolari in controsenso” (Premio Gozzano). Nel 2008, è uscito il saggio “I confini del sole. Leopardi e il Nuovo Mondo” (Premio Centro Nazionale di Studi Leopardiani). Il suo primo romanzo, del 2010, è “Il figlio del figlio” (finalista Premio Dessì 2010, menzione speciale della giuria Premio Brancati-Zafferana 2011, Premio Corrado Alvaro Opera Prima 2012). A questo hanno fatto seguito “Pronti a tutte le partenze” (2013) e “L'ultimo arrivato” (2014), con il quale vince nel 2015 il Premio Campiello. Nel 2018 dà alle stampe il suo quarto romanzo, “Resto qui”, che si classifica secondo al Premio Strega, vince la 92a edizione del Premio Bagutta, il Premio Minerva, il Premio letterario Elba, il Premio Dolomiti Unesco, il premio Viadana, il premio Latisana, il premio Asti Corte d’Appello, ed è finalista al Premio Mario Rigoni Stern per la Letteratura Multilingue delle Alpi 2019. Nel febbraio 2019 esce la sua ultima fatica letteraria, “Le parole sono importanti”: attraverso dieci appassionanti scavi etimologici, Balzano ci dice non solo che ogni parola ha un corpo da rispettare, ma anche che non è un contenitore da riempire a piacimento. Perché ogni parola ha una sua indipendenza e una sua vita.

Opere - Narrativa

  • Il figlio del figlio (2010), Avagliano, ripubblicato con una nota di Alberto Cerino da Sellerio (2016)

  • Pronti a tutte le partenze (2013), Sellerio

  • L'ultimo arrivato (2014), Sellerio

  • L'agenda ritrovata. Sette racconti per Paolo Borsellino (2017), Feltrinelli

  • Che cosa ho in testa. Immagini di un mondo in cui valga la pena (2017), Baldini&Castoldi

  • Resto qui, Einaudi editore (2018)

Opere - Poesia

  • Particolari in controsenso (2007)

  • Mezze verità (2012)

Opere - Saggi

  • I confini del sole. Leopardi e il Nuovo Mondo (2008), Marsilio

  • Gli assurdi della politica. Odio e amore nel pensiero di Leopardi (2014), Unicopli

  • Le parole sono importanti. Dove nascono e cosa raccontano (2019), Einaudi editore

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